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Davvero, il film “Chiara Lubich - L'amore vince tutto”, con la sua semplice narrazione, ha reso comprensibile e affascinante il percorso di vita e di fede di Chiara e delle sue prime compagne.


Molte persone di Imola che non avevamo avuto modo di conoscere il percorso di Chiara Lubich, hanno compreso che Chiara e le sue compagne sono persone che hanno vissuto un percorso verso la santità, in una forma semplice, moderna, praticabile e possibile.
In particolare, a Imola è nato un passaparola fra diverse persone che ruotano attorno all’Oratorio di San Giacomo. Don Beppe Tagariello, l’animatore dell’Oratorio, ha voluto approfondire subito la conoscenza del Movimento tramite i libri di Città Nuova, ha organizzato diversi incontri, ha regalato decine di libri a tante persone che frequentano il suo oratorio, ha favorito la visita di tante famiglie a Loppiano. Ha inoltre chiesto collaborazione e partecipazione alla comunità dei focolari di Imola per dare seguito a questa fiamma che si è accesa. L’Oratorio è davvero uno straordinario centro culturale nato moltissimi anni fa da studenti ed ex studenti dei licei di Imola, che ha continuato a crescere, ad organizzare attività di teatro e ha continuato ad aggregare giovani, famiglie, imprese, docenti. Questa bella amicizia ha fatto nascere l’incontro dell’11 settembre scorso a Villa Torano a Imola.

Qui di seguito un articolo scritto in quella occasione:

[_Il leitmotiv di tutto è sempre stato una storia di amicizia: quella che ha legato indissolubilmente Chiara Lubich ad alcune sue coetanee in una Trento squassata dai bombardamenti del ‘43, ma anche quella che ha unito il team che ha realizzato il film, tra cui il produttore Luca Barbareschi, il regista, Giacomo Campiotti, Cristiana Capotondi, l’attrice che ha impersonato Chiara, e il produttore creativo, Saverio D’Ercole, che è stato intervistato pubblicamente sabato 11 settembre a Villa Torano, sui colli imolesi. E anche questo è avvenuto a seguito di un’amicizia, sviluppatasi tra Saverio, il Movimento dei Focolari di Imola e l’Oratorio di San Giacomo.
“E’ dal frutto che si giudica l’albero”, sostiene, nel film, il vescovo che per primo appoggia il rivoluzionario approccio ecclesiale di Chiara Lubich. Bisogna allora dire che anche questo evento fa parte di quei frutti, maturati nella consapevolezza convinta di appartenere ad un’unica Chiesa. In effetti, la prima, intensa e commovente impressione che ha segnato fin dall’inizio gli incontri preparatori tra le due realtà della Chiesa locale è stata la sorpresa dell’unità, di una sintonia di ideali fra persone che non si conoscevano. Chiedersi cosa sia riuscito a toccare così profondamente persone diverse equivale a scandagliare anche il fascino di questa eccezionale figura femminile e le ragioni del successo del film.

Saverio D’Ercole individua la risposta nella percezione di un amore e di una gioia che nascono da una fonte inesauribile, l’abbraccio incondizionato di Gesù. Chi si sente abbracciato così rinasce alla propria dignità, alla speranza e alla creatività, e non può dimenticarlo mai più; incomincia a guardare alla realtà come opportunità, anche se attorno infuria una guerra terribile – o una terribile pandemia.
Proprio la pandemia avrebbe potuto bloccare la realizzazione del film, ma con coraggio Luca Barbareschi scelse di rischiare, facendolo ugualmente. Una scommessa vinta, dato che nessuno della troupe si ammalò e quindi le riprese non furono mai interrotte. Questo è solo uno degli aneddoti presentati da Saverio che rivelano l’esistenza di un’altra Regia, oltre a quella del bravo Campiotti.

Per quanto un biografo di Chiara o del suo movimento possa trovare il film incompleto (si concentra soprattutto sui primi anni) il risultato è un racconto coinvolgente e toccante di cosa può avvenire quando una persona si muove con la certezza che “l’amore vince tutto”. Quel piccolo gruppo di ventenni ha saputo accompagnare chi aveva accanto, aiutandolo a superare il dramma della paura, della sofferenza e della solitudine; ha risposto all’interrogativo inestinguibile sul senso del vivere e dell’amare in un abbraccio totale, in uno sguardo che accoglie tutto, senza pregiudizi o censure: lo sguardo con cui ti guarda Gesù.
Come nella scena finale del film, il cerchio delle mani unite al lume delle candele, anche noi ci siamo sentiti più uniti nella Chiesa che di quel Gesù affascinante garantisce la presenza. Ripetendo le parole della canzone che ha accompagnato musicalmente la serata, “tanti cuori, una sola via”._]

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